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NOTIZIE GIURIDICHE

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Siamo cittadini stranieri e vogliamo sposarci in Italia

Si è rivolta al nostro Studio una coppia che rischiava di vedere infranto il loro sogno di sposarsi e formare una famiglia nel nostro paese a causa del rifiuto di rilascio del rilascio del nulla osta al matrimonio da parte dell’autorità estera competente in base alla cittadinanza dei nubendi per motivi religiosi. Senza il detto nulla osta l’Ufficiale dello Stato Civile aveva infatti rifiutato di effettuare le pubblicazioni impedendo così la celebrazione del matrimonio sul territorio.

Vediamo brevemente la normativa in materia.

Un cittadino straniero può contrarre matrimonio nel nostro Paese o secondo la sua legge nazionale dinanzi all’autorità diplomatica o consolare del suo Paese, oppure secondo il rito civile italiano o con rito religioso valido agli effetti civili, secondo i culti ammessi nello Stato. Se sceglie la celebrazione secondo la legge italiana, è soggetto alle condizioni previste dall’ordinamento italiano per contrarre matrimonio e, pertanto, non devono sussistere gli impedimenti previsti dal nostro codice civile. La celebrazione del matrimonio deve essere preceduta dalle pubblicazioni, da richiedere all'Ufficio di stato civile del Comune di residenza anagrafica di ciascun nubendo.

A tal fine lo straniero deve presentare all'Ufficiale di stato civile:

  • documento d'identità valido sul piano internazionale (ad esempio il passaporto);
  • certificato di nascita rilasciato dal proprio Paese d'origine, tradotto e legalizzato presso l'Ambasciata italiana del Paese di provenienza;
  • nulla osta del Paese di provenienza da cui risulti che non ci sono impedimenti al matrimonio secondo la legge del paese d'origine e che di conseguenza la persona è libera di sposarsi in Italia.

Essendo le condizioni per contrarre matrimonio regolate dalla legge nazionale del Paese di appartenenza, il documento fondamentale per la celebrazione del matrimonio dello straniero in Italia è il nulla osta, rilasciato ai sensi dell’art. 116 del Codice Civile Italiano, dalla competente Autorità del Paese d’origine o documenti equivalenti rilasciati in base a specifici accordi o convenzioni internazionali. Il nulla osta deve attestare che non esistono impedimenti al matrimonio secondo le leggi del Paese di appartenenza.

Il nulla-osta deve essere, ugualmente, tradotto e legalizzato, salvo i casi di esenzione eventualmente previsti in accordi internazionali siglati dall’Italia.

Se manca il nulla osta, l'Ufficiale di stato civile rifiuterà le pubblicazioni.

Cosa fare se il nulla osta viene rifiutato?

In tal caso è necessario ricorrere al giudice italiano affinché accerti che non vi sono impedimenti al matrimonio e ordini all’ufficiale giudiziario di procedere alle pubblicazioni.

La giurisprudenza di merito è costante nell’autorizzare l’ufficiale dello stato civile a procedere alle pubblicazioni anche in assenza del nulla osta, qualora il mancato rilascio risulti ingiustificato o sia determinato da motivi religiosi (mancata adesione di un nubendo alla religione dell’altro) e costituisca perciò un’arbitraria (o discriminatoria) preclusione del diritto di contrarre matrimonio, contraria a diritti costituzionali e, quindi, all’ordine pubblico.

In tal caso, disapplicando la legge straniera, troverà applicazione quella interna, ex art. 16 L. n. 218/1995, in ossequio ai valori fondamentali del nostro ordinamento, quali la libertà religiosa e l’uguaglianza senza distinzione di razza e sesso.

Come sopra detto, ai sensi dell’art. 116 comma 2 Codice Civile, oltre al predetto requisito formale, il nubendo straniero deve, in ogni caso, soddisfare sul piano sostanziale le condizioni previste dalla normativa italiana in ordine alla capacità di contrarre matrimonio e all’assenza di situazioni personali ostative.

Esse costituiscono norme di c.d. applicazione necessaria (ex art. 17 L. n. 218/1995) destinate a prevalere ed imporsi quale che sia la legge nazionale del nubendo, in quanto, riflettono valori di ordine pubblico inderogabili. Esse sono: il divieto relativo all’infermità di mente (art. 85 Codice Civile); il divieto relativo alla libertà di stato (art. 86 Codice Civile); il divieto derivante da parentela o affinità in linea retta, o da parentela in linea collaterale di secondo grado (art. 87, nn. 1, 2 e 4 Codice Civile); i divieti derivanti dalla condanna per omicidio consumato o tentato del coniuge del nubendo (art. 88 Codice Civile); il divieto temporaneo di nuove nozze (art. 89 Codice Civile). Inoltre non può contrarre matrimonio in Italia lo straniero che sia già coniugato, anche laddove la propria legge nazionale ammetta la poligamia.

La disciplina della poligamia nel nostro ordinamento è stata approfondita in un recente intervento sempre su questo canale.

Lo Studio è a disposizione per ogni chiarimento in merito agli argomenti trattati.

Questo documento integra un servizio a mero scopo informativo. Non integra e non deve considerarsi un parere legale. albini.eu

Saranno i nonni a dover pagare il mantenimento al nipote minore?

Abbiamo recentemente trattato su questo canale l’argomento relativo all’obbligo dei genitori di mantenere i propri figli seppure, nel caso già affrontato, per la determinazione del contributo al mantenimento del genitore non affidatario della prole all’interno della separazione e del divorzio.Vedremo invece in questo breve approfondimento in quali casi la legge permette di chiedere agli ascendenti un contributo al mantenimento dei nipoti.Ricordiamo quindi che a mente dell’art. 147 del Codice Civile il matrimonio impone ai coniugi di mantenere, istruire, educare ed assistere moralmente i figli. In realtà questi obblighi trovano fondamento più nella filiazione che nel matrimonio tanto è, appunto, che permangono inalterati in caso di separazione e divorzio.L’art. 148 Codice Civile stabilisce poi il concorso nei detti oneri richiamando il contenuto dell’art. 316 bis Codice Civile che stabilisce l’onere dei genitori di provvedere ai loro obblighi verso i figli in base alle loro sostanze e segue prevedendo che “[…] quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli”.Con la parola “gli altri ascendenti” si intendono i nonni, qualora in vita. L’obbligo previsto dalla Legge si riferisce a tutti e quattro i nonni insieme, ciascuno in proporzione alle proprie capacità. Quindi, la richiesta va avanzata nei confronti sia dei suoceri sia dei propri genitori (così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n 251/2002).Ma in quali casi scatta l’obbligo dei nonni?

La Corte di Cassazione ha individuato i seguenti casi:

– impossibilità oggettiva di provvedere al mantenimento dei figli da parte dei genitori. Ad esempio casi di disoccupazione, assenza di ogni risorsa economica, malattia che rende inabili a produrre reddito;

– omissione volontaria da parte di entrambi i genitori. Questi i casi di abbandono materiale del minore, in cui i genitori non si occupano dei figli;

– omissione anche solo di uno dei genitori, qualora l’altro non abbia i mezzi per provvedere da solo al mantenimento dei figli. Questo è il caso tipico che si verifica in una separazione quando il genitore onerato non paga il mantenimento stabilito dal Tribunale.

Nel giudizio instaurato dal genitore bisognoso oggetto della prova deve essere:

– l’inadempimento dell’altro genitore (volontario o no);

– la propria impossibilità di provvedere al figlio da solo.

Quindi, non è sufficiente il dato oggettivo dell’inadempimento.

Naturalmente la previsione dell’art. 316 bis Codice Civile non ha natura sanzionatoria bensì trova fondamento nella solidarietà familiare e nella necessita di tutelare i figli minori; tra gli ascendenti, poi, l’onere di mantenimento dei nipoti può essere ripartito in proporzione alle rispettive capacità economico patrimoniali, e può assolvere valore anche il mantenimento “indiretto” fornito ai nipoti (si pensi ad es. al caso in cui siano stati accolti in casa a vivere insieme al genitore).

Lo Studio è a disposizione per ogni chiarimento in merito all’argomento trattato.

Questo documento integra un servizio a mero scopo informativo. Non integra e non deve considerarsi un parere legale. albini.eu

 

Foto di minori sui social network

Genitori, zii e nonni pronti a condividere i momenti di vita dei propri piccoli sui social network. Attimi che vengono fermati e mostrati ad un sempre più ampio e crescente pubblico.
Molto spesso si sottovaluta che, attraverso la condivisione social, le immagini raggiungeranno un numero indeterminabile di soggetti sconosciuti.

Il diritto all’immagine costituisce un’esplicazione del diritto fondamentale all’identità personale, connesso al diritto alla riservatezza, legislativamente tutelato.

Le principali fonti normative poste dal nostro ordinamento a tutela della vita privata e dell’immagine dei minori sono la L. n. 633/41 (legge sul diritto d’autore) che disciplina  l’abuso dell’immagine altrui,
prevedendo che il ritratto di una persona non possa essere esposto senza il suo consenso (art. 96 legge n. 633/1941); gli artt. 1 e 16 della Convenzione di New York dei diritti del Fanciullo del 20.11.1989 (ratificata dall’Italia con L. n. 176/1991) e  l’art. 10 del Cod. Civ. concernente la tutela dell’immagine dell’individuo, quale interesse del soggetto a che il suo ritratto non venga diffuso e esposto al pubblico.

In particolare la legge sul diritto d’autore stabilisce che il consenso dell’interessato rende lecita la pubblicazione della sua immagine. Se l’interessato è minore d’età il consenso deve essere espresso dai genitori di comune accordo, in applicazione della regola generale sulla rappresentanza del minore (articolo 320 c.c.). E’ pertanto imprescindibile il consenso di entrambi i coniugi per la pubblicazione delle foto dei minori sui social. In caso di contrasto fra i genitori su questioni di particolare importanza, ciascuno dei medesimi può ricorrere al giudice per l’adozione dei provvedimenti più idonei (articolo 316, comma 2, c.c.) e in tema di pubblicazione di immagini o notizie relative minori il genitore può chiedere al giudice l’applicazione di una misura che imponga all’altro genitore il divieto di diffondere l’immagine del minore e addirittura la rimozione delle foto o riprese già pubblicate, nonché, se del caso, chiedere il risarcimento dei danni arrecati al decoro e alla reputazione del minore.

La giurisprudenza, in un’ottica garantista del minore, in recenti pronunce ha affermato che “l’inserimento di foto di minori sui social costituisce un comportamento potenzialmente pregiudizievole per essi, in quanto determina la diffusione delle immagini fra un numero indeterminato di persone che potrebbero essere malintenzionate e avvicinarsi ai bambini dopo averli visti più volte in foto on-line. Come emerge sempre più dai fatti di cronaca esiste poi l’ulteriore pericolo costituito dalla condotta di soggetti che si appropriano delle foto on-line di minori e, con procedimenti di fotomontaggio, ne traggono materiale pedopornografico da far circolare nella rete. Il pregiudizio per il minore è dunque insito nella diffusione della sua immagine sui social network”.

Il riconoscimento del pericolo, insito nella pubblicazione sui social network delle foto dei minori ha, condotto i Giudici, in più casi, a comminare sanzioni in capo ai genitori che, pubblicando le immagini dei propri figli sui portali più seguiti, violino il diritto alla riservatezza e all’immagine personale degli stessi.

Inoltre, gli stessi minori, una volta cresciuti, potrebbero mostrare disaccordo su immagini rese pubbliche dai genitori laddove siano stati mostrati particolari intimi della loro infanzia. Anche in questo caso sussiste il diritto di ottenere il risarcimento del danno per la lesione della propria immagine derivante dalla pubblicazione delle foto da parte dei genitori.

Lo Studio è a disposizione per ogni chiarimento in merito all’argomento trattato.

Quale è il giusto mantenimento per i miei figli?

Una delle domande che mi viene posta più di frequente nell’ambito delle separazioni personali tra coniugi è: quale è l’assegno di mantenimento giusto che devo corrispondere per il contributo al mantenimento di mio figlio?

Come intuibile, la risposta non è contenuta solo in una percentuale di un importo riferito, ad esempio, al reddito mensile percepito in quanto tiene in considerazione ciò che l’art. 147 Codice Civile individua quali “doveri verso i figli” specificati nel dovere di mantenere, istruire ed educare la prole.

Nello specifico il genitore è chiamato a far fronte ad una molteplicità di esigenze dei figli, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all'assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione - fino a quando la loro età lo richieda - di una stabile organizzazione domestica, adeguata a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione.

Tali doveri, in base all’art. 148 Codice Civile, gravano su entrambi i coniugi/genitori i quali sono tenuti ad adempiere all'obbligazione di mantenimento dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo.

Quindi, la norma non detta – e non potrebbe farlo – un criterio automatico per la determinazione dell'ammontare dei rispettivi contributi, costituito dal calcolo percentuale dei redditi dei due soggetti (che finirebbe per penalizzare il coniuge più debole), ma preveda un sistema più completo ed elastico di valutazione.

Invero, il reddito non è neppure l’unico elemento che deve considerarsi nella determinazione del giusto mantenimento in quanto è il patrimonio nel complesso da valutare per la determinazione dell’assegno di mantenimento.

Ulteriori parametri da considerare sono il mantenimento del tenore di vita goduto dal figlio in costanza di matrimonio/convivenza nonché i tempi di permanenza presso ciascuno dei genitori e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti dai genitori medesimi.

Da tenere in considerazione oltre al contributo al mantenimento della prole vi è anche il contributo al pagamento delle spese straordinarie ossia di quelle spese di carattere occasionale ed imprevedibile che si rendono necessarie per i figli.

La migliore soluzione per la determinazione del giusto contributo al mantenimento è quindi il raggiungimento di un accordo tra i genitori.

La determinazione dell’importo dovrà tenere in considerazione che la separazione personale sta riguardando i genitori e non dovrebbe affliggere la vita dei propri figli. 

E' un reato l'omesso mantenimento dei propri figli

Sappiamo che nelle ipotesi di separazione e divorzio, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 30 della Carta Costituzionale “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori del matrimonio […]” nonché dell’art. 316 bis del Codice Civile “I genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo […]” si prevede che il genitore non affidatario dei figli versi all’altro genitore un contributo al mantenimento della prole.

Ciò in quanto si può cessare di essere un marito o una moglie mentre non si smetterà mai di essere un genitore con conseguente obbligo non solo di mantenere i propri figli ma anche di fornire loro l’istruzione e l’educazione necessaria allo sviluppo della loro personalità proprio come previsto dalla nostra Carta Costituzionale.

L’art. 570 bis del nostro Codice Penale intitolato: “Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio”, tutela i figli nei confronti del genitore che si sottrae agli obblighi economici previsti a suo carico nell’ambito della separazione o del divorzio facendogli mancare i mezzi di sussistenza.

Il reato è procedibile d’ufficio ed ha natura permanente. Pertanto, la dismissione della querela non determina l’estinzione del reato che è, come detto, procedibile d’ufficio.

Lo stato di bisogno dei figli non deve essere dimostrato in quanto si presume in relazione alla loro età e tale stato di bisogno non viene meno neppure nell’ipotesi in cui al suo mantenimento stanno provvedendo l’altro genitore o i nonni. Non sono, infatti, oggetto di indagine dinnanzi al giudice penale le capacità di ogni coniuge a soddisfare i bisogni dei figli.

Tale presunzione può essere superata solo laddove si riesca a dimostrare che il minore disponga di redditi patrimoniali, sempre che non si tratti di retribuzione per attività lavorativa, la quale, anzi, rappresenta prova dello stato di bisogno.

La mancata corresponsione dei mezzi di sussistenza ai figli maggiorenni non inabili al lavoro non integra, invece, il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare.

Naturalmente, l’obbligo di fornire i mezzi di sussistenza viene meno solo nel caso in cui vi sia un effettivo ed assoluto stato di indigenza dell’obbligato. Secondo la Cassazione, l’incapacità economica deve essere “assoluta e deve altresì integrare una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti” mentre non è sufficiente, a tal fine, la semplice indicazione dello stato di disoccupazione dell’obbligato (così Cassazione Penale, Sez. VI, 2 settembre 2014 n. 36636).  L’onere della prova di tale stato di indigenza economica grava su chi ha omesso il versamento degli alimenti.

 
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