NOTIZIE GIURIDICHE
Influencer marketing e l'Autorità Garante della Concorrenza
Per influencer marketing si intende la capacità di ‘influenzare’ le scelte e di creare un passaparola strategico, in particolar modo sui social network (soprattutto Youtube e Instagram), che amplifica in maniera esponenziale la visibilità di un marchio.
Pur essendo uno strumento a prima vista molto più immediato e ‘semplice’ rispetto alle campagne pubblicitarie tradizionali, l’influencer marketing deve in realtà sottostare ad una regolamentazione in continua evoluzione.
Il primo principio da rispettare è sicuramente quello della ‘trasparenza’. Quando gli autori delle comunicazioni non palesano la finalità promozionale delle loro espressioni danno vita ad ipotesi di pubblicità occulta.
La pubblicità occulta induce in errore i consumatori in quanto, non rendere esplicita la finalità promozionale delle proprie dichiarazioni e potrebbe potenzialmente deviare il comportamento dei consumatori. Pertanto, si configura la pubblicità occulta qualora il messaggio promozionale della comunicazione non sia palese, veritiero e corretto.
Atteso il continuo sviluppo del fenomeno dell’influencer marketing, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) quale autorità competente per l’applicazione del Codice del Consumo, nei suoi vari interventi, ha sottolineato che: “la pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale, affinché l’intento commerciale di una comunicazione sia percepibile dal consumatore” e che “il divieto di pubblicità occulta abbia portata generale e debba, dunque, essere applicato anche con riferimento alle comunicazioni diffuse tramite i social network, non potendo gli influencer lasciar credere di agire in modo spontaneo e disinteressato se, in realtà, stanno promuovendo un brand”.
Recentemente con il provvedimento del 15 marzo 2020, avente ad oggetto la promozione del prodotto Crema Pan di Stelle da parte di Barilla, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha confermato e ampliato gli orientamenti già espressi nel caso Alitalia-Aeffe in tema di influencer marketing (maggio 2019), offrendo importanti spunti sulle regole da seguire per una corretta e trasparente comunicazione pubblicitaria su Instagram.
“Nel “mondo digitale” – spiega l’Autorità – post, tweet, foto e video pubblicati sui social media costituiscono gli strumenti abituali per comunicare il proprio mondo, coinvolgendo emotivamente i destinatari nel proprio racconto. Da qui discende la necessità, nel caso in cui sussista un rapporto di committenza tra il personaggio e il marchio evidenziato, di rendere i consumatori consapevoli del fatto che si trovano di fronte ad un vero e proprio messaggio pubblicitario, e non di fronte ad un racconto spontaneo e disinteressato del vissuto quotidiano del personaggio di turno.”
Anche in questo caso, come nel caso Alitalia-Aeffe, l’Antitrust non ha irrogato sanzioni, accettando gli impegni assunti da Barilla e dai micro-influencer - coinvolti per la prima volta in un procedimento che ne valuta la condotta - per adottare in futuro una comunicazione pubblicitaria più trasparente, idonea a sanare qualsiasi comportamento scorretto.
Dal canto suo, Barilla si è impegnata a implementare linee guida con le regole di condotta precise che dovranno essere adottate dagli influencer con cui stipula accordi commerciali. Le norme prevedono la presenza di dichiarazioni obbligatorie nei post pubblicitari e la possibilità di sanzioni per gli influencer che non si adeguano.
Gli influencer si sono impegnati a segnalare sempre i post pubblicitari e la presenza di prodotti ricevuti dalle aziende usando appositi hashtag (#pubblicitàbrand, #sponsorizzatodabrand, #advertisingband, #suppliedbybrand, #brandgift, #fornitodabrand).
Ma se Barilla o gli influencer non rispetteranno gli impegni presi, il procedimento potrà essere riaperto d’ufficio da AGCM e, in tale caso, si capirà se siamo di fronte a una pubblicità occulta o meno.
Cosa succede quando chiediamo un prestito?
Chiunque chieda un mutuo, un prestito, un fido viene segnalato in Centrale Rischi o CR (Banca d’Italia) e nei SIC (Sistemi Informazioni Creditizie) e così verrà segnalata la sua storia di pagamento di quel debito (che sia positiva o negativa).
Vediamo cos’è e come funziona la Centrale Rischi (CR) e i SIC.
La Centrale Rischi è un archivio gestito dalla Banca d’Italia per finalità di interesse pubblico. In Italia esistono anche altri archivi “centralizzati” sul credito gestiti da soggetti privati e ai quali gli intermediari partecipano su base volontaria. Sono i Sistemi di Informazione Creditizia (SIC).
Questi sistemi sono stati creati per registrare tutta la “storia” dei debitori: dall’apertura di credito ai pagamenti già avvenuti, dalle eventuali morosità all’estinzione definitiva del debito. Sono, quindi, essenziali per far funzionare bene il sistema finanziario, perché permettono agli intermediari finanziari di valutare meglio a chi concedere credito e quanto credito concedere. Capire se e di quanto un soggetto che chiede un finanziamento può indebitarsi significa considerare se il cliente è affidabile, se ha margini per ottenere credito e, senza essere eccessivamente esposto, sarà in grado di restituire con regolarità e puntualmente i soldi presi in prestito.
Nel caso di segnalazione alla Centrale Rischi Centrale (per esposizioni pari o superiori a 75.000,00 Euro) è necessario che la banca invii un preavviso all’interessato, da spedire con raccomandata RR ai sensi dell'articolo 125 del T.U.B. L'informativa è resa unitamente all’invio di solleciti, altre comunicazioni, o in via autonoma.
SIC (Sistema di Informazione Creditizia) sono, invece, società private di raccordo del sistema bancario, che custodiscono i dati di esposizioni relative anche a pochi migliaia di euro (in pratica la fascia che va da 0 a 31.246,00 Euro) e che sono costituite per fornire alle banche e alle finanziarie che vi aderiscono un servizio certamente prezioso, finalizzato a limitare i rischi nella concessione di credito.
Per i SIC le tempistiche di conservazione dei dati sono regolate dal ‘Codice di deontologia e buona condotta dei Sistemi di informazioni creditizie’, consultabile sul sito del Garante della Privacy e introdotto a partire dal 2005, che oltre ai motivi per i quali scatta la segnalazione stabilisce anche i tempi massimi di conservazione delle informazioni nei database.
Più in particolare, le informazioni vengono conservate per:
- 12 mesi dalla data di regolarizzazione in caso non siano state pagate 2 rate (o due mensilità) poi sanate;
- 24 mesi dalla data di regolarizzazione in caso di ritardi sul pagamento di 3 o più rate (o mensilità),
- 36 mesi dalla scadenza del contratto in caso di finanziamenti non rimborsati: ossia eventi negativi non sanati, quali morosità, gravi inadempimenti, sofferenze.
L’aspetto importante è che le banche o le finanziarie possono effettuare la segnalazione di mancato pagamento al Sic solo per ritardi superiori a due mesi o due rate consecutive non pagate. La prima segnalazione deve essere comunicata per iscritto al cliente e agli eventuali coobbligati (ad esempio i garanti) almeno 15 gg prima della trasmissione al Sic, per dar modo al debitore di regolarizzare la sua situazione. La prima segnalazione che avviene senza la preventiva comunicazione è illegittima. Eventuali successive segnalazioni verranno comunicate al Sic nell’ambito delle comunicazioni periodiche degli istituti di credito e delle finanziarie.
Se si tratta del primo ritardo di un finanziamento, la segnalazione viene resa visibile sul Sistema di informazioni creditizie solo in caso di mancato pagamento per due mesi consecutivi. L’Istituto di credito ha l’obbligo di inviare il preavviso in cui informa che la segnalazione relativa ai ritardi verrà resa disponibile sul SIC se non viene tempestivamente sanata. La segnalazione del ritardo viene trasmessa al SIC decorsi 15 giorni dall’invio di questo preavviso. Se si regolarizza subito il ritardo l’informazione non verrà recepita sul SIC di CRIF.
La segnalazione dei ritardi successivi al primo avviene invece mensilmente e anche per una sola rata. In questo caso si riceverà una comunicazione, che può essere allegata e inviata insieme ad altre comunicazioni, in cui vieni informato della segnalazione del ritardo sul SIC.
La segnalazione a un Sic come cattivo pagatore comporta:
- l’impossibilità di ottenere un mutuo, un prestito, un fido di conto corrente o una carta di credito
- se si ha già un fido bancario o una carta di credito, la banca potrebbe decidere di revocare il fido e di chiedere la restituzione della carta (deve essere previsto nelle condizioni contrattuali);
- la banca potrebbe decidere di non aprire un nuovo conto corrente al consumatore, ma non può chiudergli forzatamente quello già aperto in precedenza.
Ci si chiede se la segnalazione di “sofferenza” possa scaturire in modo automatico da un ritardo nei pagamenti all'intermediario. La risposta è negativa in quanto il ritardo nei pagamenti non è una condizione sufficiente per la segnalazione a “sofferenza”: per questa classificazione, l'intermediario deve tenere conto della situazione finanziaria complessiva del cliente.
Per ogni informazione e chiarimento sulle segnalazioni alla CR il cliente si può rivolgere agli intermediari con cui ha il finanziamento.
Si tratta in questi casi di procedure di carattere stragiudiziale che sono volte ad ottenere la modifica della segnalazione eventualmente errata mentre non consentono alcun ristoro dei danni che conseguono alle errate segnalazioni degli Istituti di credito. In questi casi, lo strumento è senz’altro il processo.
Precisamente, in caso di contestazione, il cliente può presentare un reclamo all'intermediario, che è tenuto a rispondere entro 30 giorni. Se l'intermediario non risponde o la risposta non è soddisfacente, il cliente può presentare ricorso all'Arbitro Bancario Finanziario (ABF) che decide sul singolo caso. Il ricorso può essere presentato dal sito dell'ABF e non richiede l'assistenza di un avvocato.
Se si intende segnalare un comportamento irregolare o scorretto da parte di una banca o di una società finanziaria si può presentare un esposto alla Banca d'Italia anche tramite il servizio online messo a disposizione dalla Banca d'Italia medesima nella sezione del sito Servizi al cittadino.
Quando la Banca d'Italia riceve un esposto sulle segnalazioni CR invita l'intermediario a verificare se i dati segnalati sono corretti e, se c'è un errore, a correggerli.
Naturalmente in caso di danno grave e irreparabile a seguito di segnalazione illegittima è possibile percorrere la via giudiziaria attraverso un’azione legale ordinaria oppure d’urgenza. Il presupposto del danno grave e irreparabile a seguito di segnalazione illegittima, è in re ipsa, di talché si potrebbe anche non specificamente provarlo in quanto la illegittima segnalazione è già di per sé foriera di un danno coincidente con la impossibilità di accesso al credito. Gli effetti della segnalazione illegittima sono altresì permanenti ed incidono negativamente sul merito creditizio imprenditoriale, determinando una sorta di reazione negativa a catena del ceto bancario. Costituisce fatto notorio che la segnalazione a sofferenza di un soggetto su iniziativa illecita di un istituto di credito non passa inosservata agli altri istituti che, da quel momento in avanti, sono indotti a ritenere che un ulteriore affidamento e la mancata richiesta di rientro determini un rischio neppure giustificabile rispetto ai vertici aziendali.
L’esistenza del periculum in mora è ravvisabile anche laddove sia intercorso un ampio lasso temporale fra la segnalazione (nel caso di specie anno 2012) e il ricorso cautelare (2019). La distanza temporale non può essere di per sé ostativa al riscontro del periculum posto che una segnalazione a sofferenza potrebbe essere nell’immediato priva di effetti pregiudizievoli per il segnalato, ma in seguito manifestare la propria dannosità, mentre l’illegittima segnalazione alla Centrale dei rischi costituisce di per sé un comportamento permanente pregiudizievole per l'attività economica e la reputazione commerciale di chi la subisce (cfr. Cass. 12626/2010).
Mi hanno proposto di entrare a fare parte di un Network Marketing, cosa è?
Mi hanno proposto di entrare a fare parti di un Network Marketing, cosa è? Diventerò ricco? Non si tratta, per caso di una catena di S. Antonio?
Il network marketing è un modo per poter creare una rete di distribuzione di prodotti e servizi utilizzando il principio dell’effetto leva per duplicare i nostri sforzi. Sarebbe, tuttavia, ingenuo pensare che si tratta di una modalità di lavoro che consente di arricchirsi in un giorno. Come sempre, solo il lavoro e la perseveranza danno degli utili risultati.
Non basta essere convincenti, ma occorre essere convinti sulle qualità del prodotto che desideriamo promuovere e generare l’interesse del nostro potenziale cliente. Bisogna perciò conoscere a fondo il prodotto medesimo, non importa se si tratta di bulloni o di veicoli spaziali. Occorre sapere tutto di quel prodotto, le qualità intrinseche, le modalità di produzione, i dati correlati, benefici in grado di generare ecc. L’approssimazione non è consentita in quanto immediatamente riconosciuta dal Cliente.
La gente abbandona nei primi mesi perché inizia pensando che si possa diventare ricchi in fretta e senza lavorare e, purtroppo, non è così… Un motivo che sta alla base di questa falsa aspettativa è che spesso, lo sponsor non dice che è difficile perché ha paura di perdere il potenziale partner e la fa sembrare molto più facile di quanto in realtà sia.
Il network marketing è – di fatto – una modalità di lavoro che richiede un investimento in termini di tempo e impegno esattamente come qualsiasi altro lavoro.
Pur tutelando il Network marketing, il sistema giuridico italiano non ne propone direttamente una definizione di ma si limita a porre dei divieti alla creazione di “strutture piramidali” o “catene di Sant’Antonio”.
La legge che disciplina questa attività è la n. 173/2005 che prende in esame tutte le forme di vendite dirette (ivi compreso il Network Marketing). Scopo della normativa è quello di tutelare il consumatore facendo chiarezza nella materia delle vendite dirette al domicilio dei consumatori, al fine di evitare pericolosi equivoci tra le forme di vendita diretta con il metodo del multilevel marketing (MLM) e le vere e proprie forme di truffa costituite dalle vendite piramidali.
Procedendo per differenze rispetto alla vendita diretta, infatti, si può osservare che:
a) la vendita diretta ha lo scopo di avvicinare il produttore al consumatore finale in quanto i distributori comprano il prodotto direttamente dalla compagnia multilevel marketing MLM (non esiste alcuna vendita all’ingrosso, negozi al dettaglio, ecc.) e sono loro stessi a fare pubblicità, con notevole risparmio per la stessa compagnia MLM. Al contrario, le vendite piramidali tendono a moltiplicare i livelli di vendita. Ciò che si compra non è infatti un prodotto o un servizio ma semplicemente la posizione di venditore.
b) una società che opera attraverso forme di vendita diretta retribuisce i propri agenti/venditori attraverso provvigioni direttamente proporzionali alla quantità o al valore del prodotto venduto. Viceversa, in una organizzazione piramidale, il prodotto è solo il pretesto e l’occasione per reclutare altri venditori che pagheranno all’agente esclusivamente la posizione di rivenditore all’interno della piramide. A sua volta il venditore appena subentrato cercherà altri venditori a cui far pagare il “diritto di accesso” i quali a loro volta ne cercheranno altri e così via. Tutto ciò ovviamente, indipendentemente dalla quantità di merce venduta.
In questo meccanismo (di vendita piramidale) la vendita del prodotto non costituisce il vero obiettivo perseguito dal venditore: egli, in realtà, intende vendere la posizione all’interno della piramide, configurandosi così una sorta di “diritto di accesso”. Nelle vendite piramidali, infatti, l’investimento iniziale oltre ad essere obbligatorio, in quanto in realtà volto non all’acquisto di merce, bensì da considerarsi come “entrance fee” per accedere all’organizzazione, può essere anche molto elevato, perché il guadagno per chi è ai vertici della piramide deriva esclusivamente dalle quote di chi entra successivamente.
E’ evidente che il contratto di vendita piramidale si differenzia dal contratto di compravendita disciplinato dagli artt. 1470 e ss. c.c., in quanto non si esaurisce nello scambio di una cosa contro un prezzo, ed anzi, ha ad oggetto il trasferimento ad libitum del diritto/obbligo di reclutamento di altre persone.
Nel disciplinare la vendita diretta il legislatore ha posto limiti precisi per evitare che la stessa celi un sistema illegale di vendita – disciplinando il diritto di recesso che deve riconoscersi al venditore diretto, il necessario possesso di un tesserino identificativo e il regolare adempimento agli oneri fiscali.
Rispetto al fenomeno della vendita piramidale, all’art. 6 della L. 173/2005, il legislatore individua alcuni elementi presuntivi della fattispecie quali l’obbligo di acquistare una rilevante quantità di prodotti senza poterli restituire od ottenere la rifusione di prezzo per quelli ancora vendibili, l’obbligo di corrispondere all’atto di ingresso nella struttura o per permanere nella stessa somme di denaro o titoli di credito di rilevante entità in assenza di una reale controprestazione o anche l’obbligo per il reclutato di acquistare materiali, beni servizi o materiali didattici e corsi di formazione, non strettamente inerenti o necessari all’attività commerciale e comunque sproporzionati al volume dell’attività svolta.
Proseguendo, l’art. 7 delle medesima norma configura la vendita piramidale come reato, sanzionandola con la pena dell’arresto da sei mesi ad un anno o dell’ammenda da 100.000 a 600.000 euro: si punisce la promozione e la realizzazione di attività e strutture di vendita di cui al precedente art. 5, senza descriverne ulteriormente gli elementi costitutivi.
Se da un lato ciò dovrebbe favorire la punibilità e facilitare la prova, anche in considerazione delle modalità insidiose di reclutamento che spesso sfruttano rapporti amicali o familiari tra i soggetti coinvolti, dall’altro tali elementi restano di difficile dimostrazione e la punibilità è limitata dall’art. 649 c.p..
La Corte di cassazione (n. 37049 del 2012) ha precisato che deve ritenersi irrilevante l’eventuale volontà del soggetto di essere reclutato nella rete, stante il silenzio della normativa. La volontaria adesione non configura quindi fattore di esonero dalla sussunzione, ovvero dal rientrare nella fattispecie vietata.
In conclusione, se mi hanno inviata ad entrare i un Network marketing, se ho la volontà di impegnarmi nel lavoro che mi hanno proposto, la legge tutela la mia attività imprenditoriale e mi consente di porre in essere dei contratti di vendita perfettamente validi nella loro struttura. Se invece, mi chiedono danaro per entrare a far parte di una rete e, di fatto, la mia attività di promozione del prodotto è solo marginale, devo essere accorta e verificare se non si tratta di una struttura piramidale nella quale, con ogni probabilità, finirò per non guadagnare niente.
Contratto preliminare redatto con scrittura privata e trascrizione
Con la sentenza n. 26102/2016 la Corte di Cassazione ha deciso le questioni relative alla modalità di trascrizione del preliminare di vendita immobiliare stipulato con scrittura privata non autenticata e la decorrenza degli effetti della detta trascrizione.
L’art. 2645 bis c.c. prevede – a far data dal 1996 - la trascrivibilità del contratto preliminare stipulato per atto pubblico o scrittura privata autenticata. Se il preliminare è concluso con una scrittura privata non autenticata, il promissario acquirente che volesse ottenerne la trascrizione dovrebbe proporre domanda giudiziale volta ad ottenere una sentenza che accerti l’autenticità delle sottoscrizioni del contratto.
Dando soluzione alla seconda questione relativa agli effetti della trascrizione la Suprema Corte ha ritenuto sufficiente la trascrizione della domanda giudiziale di accertamento, senza bisogno di attendere l’esito positivo del giudizio di accertamento per procedere alla relativa trascrizione.
Quindi nel caso in cui il bene oggetto del preliminare trascritto sia oggetto di pignoramenti, sequestri o iscrizioni di ipoteche giudiziali, trascritte successivamente alla trascrizione del preliminare, tali vincoli sono inopponibili al promissario acquirente (sempre che il definitivo sia poi trascritto entro i termini di legge).
E’ legittimo subordinare il preliminare alla concessione del mutuo?
Secondo la sentenza Cass. n. 22046/2018 è efficace la clausola che subordina gli effetti della vendita alla concessione del mutuo in favore dell'acquirente, non trattandosi di una condizione meramente potestativa.
In particolare, la Corte di Cassazione ha confermato che: “Nel caso in cui le parti subordinino gli effetti di un contratto preliminare di compravendita immobiliare alla condizione che il promissario acquirente ottenga da un istituto bancario un mutuo per poter pagare in tutto o in parte il prezzo stabilito - patto di cui non è contestabile la validità, poiché i negozi ai quali non è consentito apporre condizioni sono indicati tassativamente dalla legge -, la relativa condizione è qualificabile come “mista”, dipendendo la concessione del mutuo anche dal comportamento del promissario acquirente nell'approntare la relativa pratica, ma la mancata concessione del mutuo comporta le conseguente previste in contratto, senza che rilevi, ai sensi dell'art. 1359 c.c., un eventuale comportamento omissivo del promissario acquirente, sia perché tale disposizione è inapplicabile nel caso in cui la parte tenuta condizionatamente ad una data prestazione abbia anch'essa interesse all'avveramento della condizione, sia perché l'omissione di un'attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto l'attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, e la sussistenza di un siffatto obbligo deve escludersi per l'attività di attuazione dell'elemento potestativo in una condizione mista”.